Dalla Camera dei deputati arriva il no alle norme che miravano a introdurre una concreta parità di genere nella legge elettorale. Il testo dell’Italicum, infatti, vieta la possibilità di presentare più di due candidati dello stesso genere in una lista nell’ambito di una complessiva parità di genere tra uomini e donne, ma i meccanismi che sovrintendono alla assegnazione dei seggi fanno sì che per molti partiti in realtà molto spesso verrà eletto solo il capolista della circoscrizione. Da qui la presentazione di tre emendamenti sottoscritti in maniera trasversale da deputati di tutti i gruppi tranne M5S e Fratelli d’Italia.
Il primo emendamento stabiliva un’alternanza del 50% nelle liste elettorali, il secondo una quota del 50% di donne come capilista e l’ultimo un rapporto 40-60% tra donne e uomini come capilista "nel complesso delle candidature circoscrizionali di ciascuna lista". Tutte le proposte di modifica sono state votate a scrutinio segreto su richiesta di 41 deputati, molti di Forza Italia e poi, tra gli altri, i deputati della Lega Nord Gianluca Buonanno e Gianluca Pini, oltre a Fabio Rampelli di Fdi e Gaetano Piepoli di Per l’Italia.
Intervenendo in aula durante il dibattito Roberta Agostini, la deputata Pd che ha posto la prima firma su tutti gli emendamenti bipartisan, ha sottolineato come "noi abbiamo scelto di presentare in maniera trasversale e non solo come Partito democratico tre emendamenti", che garantirebbero la parità di genere, "scelta fatta perché crediamo che il tema di promuovere il ruolo nelle istituzioni non sia interesse di una parte o di un partito politico ma debba interessare l’intero sistema".
Per Monica Faenzi di Forza Italia, invece, l’introduzione di quote rosa nella legge elettorale sarebbe stata "una scelta arretrata" perché "in nessuno degli altri Paesi europei esistono norme di natura impositiva", norme che sarebbero oltre tutto "incostituzionale alla luce degli articoli 3, 49 e 51 della Costituzione".
"Non mi ritrovo nella definizione delle quote rosa", ha detto quindi la deputata di Sel Titti Di Salvo rivolgendo un appello all’Assemblea a votare gli emendamenti, perché "il tema non è chi ha più poltrone e chi meno" ma "una scelta nell’interesse di un intero Paese". La parità di genere infatti, "non è un diritto, né un privilegio ma deve essere una scelta perché penso sia interesse del Paese rappresentare come è la realtà". Linea condivisa anche da Alessandra Moretti (Pd): "Le norme sulla parità di genere sono norme di garanzia non di tutela", in un Paese dove spesso le donne quando hanno un lavoro sono costrette a rinunciare ai figli e quando ne hanno devono sacrificare il loro lavoro. Per Moretti "non si tratta di una battaglia di parte ma trasversale", "la questione della parità di genere non è femminile ma attiene alla società e all’economia".
Anche l’ex ministro per le Pari opportunità Stefania Prestigiacomo (Fi) ha preso la parola in aula per esprimere "con amarezza" la sua posizione in dissenso a quella del gruppo di Forza Italia (che tuttavia, come il Pd, ha lasciato libertà di coscienza su questo tema ai propri deputati). "La nuova legge elettorale non dovrebbe garantire le poltrone alle parlamentari e ai parlamentari di questo Parlamento", ha detto Prestigiacomo, ma "dovrebbe sapere guardare lontano". "Purtroppo – ha sottolineato – questo dibattito non è stato possibile poterlo svolgere" in Forza Italia e "per questo ci vediamo costrette a pronunciarci in dissenso" ma "lo facciamo con orgoglio e a viso aperto".
A dire no con decisione a tutti gli emendamenti sulla parità di genere è stata infine la capogruppo di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Daniele Capezzone, Forza Italia, Presidente della Commissione Finanze della Camera, su Twitter: “Battaglia di alcune deputate su quote rosa illiberale e di retroguardia. Bene che emendamenti siano stati respinti".
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