Il ruolo di ‘fighter’ che, in vista del vertice europeo, un po’ tutti assegnano a Mario Monti (da Obama ad Hollande fino alla sua ‘strana maggioranza’) non e’ il piu’ congeniale alle sue doti di statista. Innanzitutto perche’ la battaglia contro Angela Merkel, dopo le dichiarazioni al Bundestag, e’ perduta in partenza e poi perche’ tale ruolo contraddice le residue possibilita’ di una mediazione sul filo di lana. Quello di Bruxelles sara’ un appuntamento drammatico. Secondo il Financial Times una sconfitta del Professore potrebbe segnare addirittura la fine dell’euro. Ma soprattutto serpeggia il timore che l’assenza di risultati che si va profilando possa rendere impossibile a Monti completare il suo piano di riforme. Cio’ risospingerebbe l’Italia al margine dei mercati proprio come nel novembre 2011. E l’Italia e’ un Paese troppo grande per essere salvato.
Questo quadro di incertezze si e’ riflesso inevitabilmente nel dibattito interno. Il Pdl ha rifiutato di sottoscrivere una mozione comune per l’Europa con Pd e Udc. Pierluigi Bersani e Pierferdinando Casini hanno giudicato incomprensibile la mossa della destra ma a ben vedere c’e’ una spiegazione: i berlusconiani hanno cominciato le manovre di sganciamento dalla politica delle larghe intese e dal nuovo asse tra democratici e centristi. E ci sono anche altre motivazioni di politica economica: Silvio Berlusconi sembra essersi convinto che Berlino si stia muovendo verso l’euro a due velocita’. Un’ipotesi di cui si parla da tempo e che prevederebbe per Spagna, Irlanda, Portogallo, Cipro e Grecia la retrocessione in serie B. I complimenti alla politica di Monti farebbe pensare a una possibile ‘promozione’ del nostro Paese ma a quanto pare solo a condizione di ulteriori sacrifici ed austerita’.
E’ questo il vero fronte sul quale si combatte la battaglia per il futuro dell’euro. La Francia non e’ disposta ad accettare ancora il rigorismo calvinista della Cancelliera tedesca (sul quale pesa peraltro anche la convenienza elettorale) ma l’asse Parigi-Roma non e’ sufficiente a scardinare il bunker tedesco.
La commissione europea e lo stesso Mario Draghi hanno provato timidamente a suggerire il ricorso ad altri strumenti di condivisione del debito in funzione antispread e sono stati gelati dall’ostilita’ della Germania. Altre possibilita’, come il redemption fund di cui parla Bersani, sono spariti dal tavolo negoziale e non si sa se ci torneranno. Il segretario del Pd ribadisce, insieme agli altri leader di maggioranza, la sua lealta’ al Professore e pensa che il no secco agli eurobond della Merkel fosse rivolto in realta’ all’opinione pubblica tedesca dal momento che il tema non e’ nell’agenda del vertice; ma in fondo nemmeno lui e’ totalmente sicuro delle intenzioni di Berlino se invita Monti a tornare comunque dal summit con risposte anticrisi e con una scelta ideale condivisa per l’Europa.
Insomma, se c’e’ incertezza sulle scelte della Germania, e’ naturale che le forze di maggioranza cerchino un profilo piu’ identitario in chiave elettorale. Al momento si puo’ dire che le larghe intese non sono ritenute un’opzione plausibile per la prossima legislatura, sebbene un approfondimento della crisi internazionale le possa rendere ancora a lungo necessarie.
Quanto a Monti, si presenta al vertice con la riforma del lavoro approvata a denti stretti dalla maggioranza, ma approvata. Una dimostrazione di forza e di compattezza del Paese, una dichiarazione di fiducia nel futuro dell’Unione. Sara’ un’arma in piu’ per la trattativa insieme alle altre riforme strutturali in cantiere, come aveva promesso Monti? La risposta dovrebbe essere si’. Ma poiche’ da Berlino giungono solo perplessita’ su un vero cammino comunitario, nulla puo’ essere dato per scontato.
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