Dal 1890 al 1996 (dopo il Trattato di Schengen la circolazione di persone è libera in UE), ben 28 milioni d’italiani hanno lasciato, per necessità, il Bel Paese. Siamo, ormai, alla quinta generazione di nostri connazionali nel mondo. Con i figli ed i nipoti nati all’estero, il loro numero ha superato i 60 milioni; anche se coloro che hanno mantenuto la nostra cittadinanza sono poco meno di 4 milioni. Per anni, poco considerati in Patria, molti nostri emigrati hanno sperato che il loro profilo d’italianità si sarebbe ricostituito. Non è stato così. Se il processo continuerà come lo conosciamo potrebbe rimanere disatteso. Per gli italiani oltre confine non esistono diritti acquisiti in Patria e la loro rappresentatività a livello normativo è ancora tutta da avvalorare.
Certo è che, dopo tanti sacrifici, la nostra comunità nel mondo è riuscita a integrarsi. Pur con cinque generazioni, gli italiani all’estero sono restati, “ufficialmente”, pochi. L’integrazione è riuscita a fornire una nuova dimensione di vita nei Paesi ospiti. Tant’è che molti hanno cambiato cittadinanza e chi ha mantenuto quella italiana al voto nazionale non manifesta particolare interesse. Eppure, limitandoci al Vecchio Continente, gli italiani sono più di due milioni. Molti sono figli, se non nipoti, di coloro che, negli anni 50/60, si erano recati al lavoro nelle miniere con contratti di “scambio” (braccia per carbone). Le Americhe erano lontane, ma l’Europa era vicina e le sue frontiere s’aprivano alla nostra gente che chiedeva solo pane e lavoro. La dignità sarebbe venuta dopo.
Rammentiamo, con profonda amarezza, le scritte che apparivano in certi locali pubblici dell’Europa: “Divieto d’ingresso agli italiani”. Tutto, ora, sembra lontano. Eppure è storia di ieri. Oggi impensabile, ma che ha segnato almeno una generazione.
Ora in UE i problemi si sono modificati; pur essendo, in parte, presenti ancora alcuni. E’ di scena il Parlamento Europeo, la moneta unica, la Banca Centrale, ma i nazionalismi, anche in questo 2016, hanno preminenza sul concetto di tutela dei problemi socio/economici del Vecchio Continente. L’apprezzamento per chi ha conservato la cittadinanza d’origine è indiscutibile, ma non basta.
La posizione dell’italiano all’estero non dovrebbe essere equiparata ai residenti nella penisola unicamente al momento del voto. Ai connazionali nel mondo spetta un trattamento più consono al loro stato. Ma quando? E come? Sono interrogativi che non sono stati ancora risolti; perché mai affrontati. Quelli che scarseggiano restano i fatti. Lo scriviamo perché l’italianità non è un termine vago e indistinto; ma una realtà che può essere di sostegno anche per il Paese d’origine.
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