Cosa sia davvero un tatuaggio, quali siano le origini e la storia, loro non lo sanno, ma loro chi? Si tratta del popolo di soggetti a volte con larghe possibilità economiche che si decorano la pelle, più o meno come dipingono d’arancione le pareti delle loro case, con tanto di faretti naturalmente. Prima ancora del cattivo gusto, arriva palese la smania italiana dell’eccesso per farsi notare.
Siamo i più numerosi d’Europa e qualche coatto crede che si tratti di un vanto. Ahimè, non si fanno tatuare soltanto i soliti italiani che urlano al cellulare e vagano per locali con ragazze super minigonnate. Tutti questi soggetti, talvolta molesti, nulla sanno del codice antico del tattoo occidentale oppure orientale, della malavita in carcere o dei marinai.
I corpi dei discendenti di Garibaldi, che marinaio lo fu davvero, non sono colorati e dipinti per nobiltà marinara né per appartenenza a qualche lontana tribù, né per aver scontato una condanna nelle patrie galere. Spesso il tatuaggio fa sentire il coatto tronfio come un tacchino. Il più diffuso modello di riferimento rimane il semi vip un po’ cretino che si tatua pure le dita, lui che fa parte dell’orrida e nauseabonda corte dei miracoli dei presenzialisti finti divi della televisione, ma solo delle retrovie, a volte vomitati dai reality. Sono quelli delle feste in Costa Smeralda con il magnum e i bengala, e il nome gridato dal vocalist. Sono fotografati nelle riviste che nessuno conosce, a parte le sciampiste.
Il buon gusto purtroppo non si può imporre per legge, però forse sarebbe opportuno vietare davvero e non solo a chiacchiere, ai minori di deturparsi il corpo, per poi piagnucolare da mamma e farsi fare trattamenti al laser che non solo sono lunghi, ma lasciano qualche cicatrice.
Andando a curiosare nei raduni dei tatuatori, non si può non notare dei mostri presentati come disegni di Giotto. Quindi è meglio aspettare che la persona sia capace almeno d’intendere e di volere, per cercare di capire cosa significa fare investimenti narcisistici sul proprio corpo, truccarlo, tatuarlo, manipolarlo senza ritorno. E poi diciamolo che non è vero che “siamo tutti poeti e il corpo è la pagina su cui scrivere”. E poi il tripudio arriva sulle spiagge, dove l’orrore va in passerella non solo sui tacchini, ma anche sulle oche tutt’altro che bianche, ma colorate con l’adipe pieno di disegni tribali, fiorellini, farfalle, animali, defunti che un tempo stavano nella cornice d’argento sul comò sopra il centrino, e ora invece viaggiano sulle pance, sui bicipiti, e francamente è davvero troppo.
Ci sono anche le scritte funebri, anche in una lingua diversa, tanto se proprio bisogna essere tamarri, meglio esserlo fino in fondo! Quindi il tatuaggio nel nostro Paese ha sostituito un po’ il catenone d’oro, la pettinatura da Limahl, lo striscione dello stadio, tatuato pure quello, i segni zodiacali e le iniziali per chi ha la memoria come il neurone di un lombrico.
Questi soggetti spendono cifre folli per farsi decorare a vanvera, ma non hanno mai comprato un libro in vita loro e qualcuno deve averglielo fatto notare; infatti, spesso si fanno tatuare interi paragrafi, capitoli, così nessuno potrà dirgli di essere degli ignoranti, almeno non del tutto.
Il tatto ha davvero una storia e un significato, quindi vedere il popolo italico simile a una borsa Alviero Martini fa davvero non solo orrore, ma una grande malinconia. Mio nonno, lui sì che aveva un tatuaggio vero, era stato in marina, e aveva uno sbiadito delfino azzurro, mai ostentato e posso garantire, che lui sì che era un figo!
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