Vorrei fare un breve resoconto delle ragioni che hanno condotto il gruppo parlamentare del Pd-Camera ad approvare senza ulteriori modifiche, rispetto a quelle introdotte in Senato, il DL che rinvia ancora una volta il rinnovo di Comites e CGIE. Faccio questo resoconto per il ruolo che ho avuto di co-relatore del provvedimento (insieme al collega Galli – Fli). La scelta del gruppo è stata in un certo senso obbligata da ragioni diciamo così “superiori”:
1 – il sostegno politico al Governo tecnico del presidente Monti che abbiamo assicurato, ancorchè criticamente e costruttivamente, in tutti i passaggi e in tutte le decisioni finora assunte;
2 – la tempistica di conversione del decreto (in scadenza il 30 luglio) che rendeva altamente sconsigliabile un ulteriore passaggio al Senato in questa fase un po’ convulsa e con un calendario già sovraccarico.
Questo non significa che la decisione di “difendere” il provvedimento nel testo ricevuto dal Senato sia stata presa a cuor leggero e men che meno che il decreto non fosse migliorabile, come dimostrano le proposte emendative – su modalità di voto e recupero di fondi ulteriori per le attività a favore delle comunità -presentate dai colleghi Pd eletti all’estero e ritirate su richiesta dei relatori in Commissione. Desidero quindi ringraziare di questo senso di responsabilità e coerenza politica i colleghi eletti all’estero che certo avrebbero avuto molte ragioni per esprimere il loro malcontento. Ma sarebbe stato un gesto facile e agitatorio che a mio parere non qualifica certo favorevolmente coloro che lo hanno fatto degli altri gruppi della maggioranza tecnica di governo (Pdl o Udc), i quali, senza battersi apertamente e per davvero nei loro gruppi o in aula, se la sono cavata schiacciando alla fine il pulsante rosso. Diverso è il caso, che ci riguarda, di chi al Senato, dopo una battaglia aperta, coraggiosa al limite della temerarietà, e che rispetto, sconfitto in aula su una proposta presentata, ha deciso di esprimere la propria contrarietà sul provvedimento.
A rendere la nostra decisione meno difficile alla Camera ha contribuito il lavoro emendativo già fatto dal Senato. E’ pure vero tuttavia che questa ennesima proroga del rinnovo di Comites e CGIE ha provocato disagio e malumore in tutto il Gruppo perché da tutti questa è avvertita come una ferita al nostro ordinamento democratico e alle leggi che lo disciplinano e perché tutti sentono la difficoltà di accettare che il piano qualitativo dei principi democratici passi in secondo ordine rispetto alle considerazioni quantitative delle disponibilità di bilancio. Nonostante queste perplessità di fondo ci siamo fatti carico di una richiesta del governo – in questo caso, come purtroppo in tanti altri casi di non minore rilievo in questa fase di emergenza per il Paese. Richiesta che, peraltro, si muoveva in un solco pre-costituito e pressoché obbligato dalle precedenti proroghe imposte dal governo politico di Berlusconi, alle quali ci eravamo opposti e che i deputati della destra eletti all’estero avevano invece sostenuto.
I cambiamenti introdotti al Senato sono comunque importanti sotto due punti di vista: a) mettono il parlamento in condizione di esprimersi sulla riorganizzazione del voto per il rinnovo dei Comitati vincolando il governo a mettere a punto entro sei mesi un regolamento che andrà esaminato dalle Commissioni competenti (sarà un passaggio importante per molte ragioni, pratiche e di principio, non ultima quella derivante dal fatto che inizialmente il governo pensava a un voto per i Comites espresso con modalità esclusivamente informatiche mentre ora nel testo si parla di modalità di votazione “anche mediante l’utilizzo di tecnologia informatica”; b) stabiliscono l’utilizzo di una parte delle somme risparmiate con il rinvio delle elezioni per attività culturali, sociali e istituzionali a favore delle comunità.
Ovviamente, questi risultati non riparano i danni fatti alle politiche per le comunità italiane all’estero dalle scelte dissennate del precedente governo. Segnalano tuttavia una attenzione seria e consapevole dei problemi che in quanto tale è nuova e di cui il governo ha dovuto tenere conto e di cui possiamo darci merito, a partire dalle modeste attenuazioni ottenute, senza per questo nasconderci, anzi, che è tutto il sistema nazionale a essere “in debito con le nostre comunità all’estero”, come ha giustamente rilevato il capogruppo del Pd in Commissione esteri nella dichiarazione di voto in aula:
“È in debito perché quella che è mancata non è stata soltanto attenzione, non è stata soltanto una vera e propria politica (…) – vi è stata una vera e propria «rapina» perpetrata dal Ministro Tremonti nei confronti di capitoli «più sociali» della Farnesina. Ma (…) è in debito perché (…) quello che manca e che è mancato è un’inversione, un cambiamento di approccio e di visione rispetto al tema delle nostre comunità”. E’ per arrivare a questo cambiamento di approccio e di visione che criticamente, ma con senso di responsabilità e per coerenza, abbiamo dato il nostro voto favorevole ad un decreto che deve essere l’ultimo di una serie che non dovrà mai più ripetersi.
Discussione su questo articolo