Roma – Italia e Argentina. Due Paesi e due crisi, una attuale e una ormai considerata ‘passata’ ma che ancora sta facendo sentire i suoi effetti. Abbiamo messo a confronto il Bel Paese con la nazione che ospita il maggior numero dei nostri connazionali attraverso l’analisi della senatrice Mirella Giai, eletta con il Maie in Sud America.
Senatrice Giai, da settimane le piazze argentine vengono riempite dalla sinistra radicale e da cittadini che manifestano contro il governo di Cristina Kirchner e, nel mese di novembre, le proteste studentesche non hanno risparmiato nemmeno i governi della vecchia Europa. Lei da che parte sta?
Per quanto riguarda l’Argentina, è necessario riflettere sul fatto che ora non esiste un paese che non abbia bisogno degli altri paesi. Se si ragiona in quest’ottica si comprende la necessità di aprire le porte al commercio e alle politiche internazionali, utili sia per il Sud America che per l’Europa, le persone devono godere di maggiore spazio per le proprie decisioni, devono esistere anche altri partiti.
Per quanto riguarda l’Italia, invece?
In Italia si stanno riproponendo rivendicazioni sempre esistite perché questo è un paese che sa lottare per la difesa dei diritti. Oggi esistono restrizioni eccessive e pericolose, se un pensionato riscuote 600 euro o un ragazzo perde il lavoro o le imprese chiudono, è naturale che nascano grandi manifestazioni, la gente protesta arriva quando le cose non vanno bene.
Qual è la ricetta per guarire?
Penso che si debba ricominciare a produrre, se non c’è produzione non si avanza, questa crisi non è nata ieri, il buco nero viene da molti anni in cui ci siamo addormentati e abbiamo pensato che la situazione non fosse molto grave. Se non lavoro non posso studiare, mangiare e poi nasce la protesta, è semplice da dire ma viverlo è un’altra cosa. La corda si rompe se si tira troppo. Dobbiamo cercare di rinascere e produrre affinché si crei lavoro e l’Italia possa avere quel respiro di cui ha bisogno, finora abbiamo tirato troppo la corda. Se ci mettiamo tutti insieme possiamo dividerci il peso dei sacrifici. Il governo tecnico ha chiesto dei sacrifici ma poi i partiti dentro la maggioranza hanno ricominciato con le loro singole richieste, senza pensare alla collettività.
Lei ha vissuto entrambe le crisi, sia quella argentina che l’attuale italiana. Qual è, secondo lei, il giusto atteggiamento per ripartire?
Certamente se i politici si mettono a gridare e poi non fanno nulla, come ho visto fare ad alcuni esponenti in Argentina, non si conclude nulla. Purtroppo spesso in Italia non tutti cercano un obiettivo positivo comune.
Questa legislatura sta per finire. “Per fortuna” verrebbe da dire…
I problemi sono stati tanti, i maggiori problemi per me sono legati agli italiani nel mondo perché siamo i più colpiti dai tagli all’assistenza alle scuole, alla cultura, ai Comites e al Cgie. Per questo dicevo che bisogna sacrificarsi tutti un po’.
La campagna elettorale all’estero sarà più debole perché lontana?
All’estero è un po’ difficile seguire la campagna politica ma l’italiano all’estero segue la politica italiana, anche perché abbiamo la fortuna di avere la Rai almeno per i programmi informativi seguiti con molta attenzione. Anche gli argentini chiedono sempre quale sia la nostra situazione.
Chi vive all’estero comprende la reale situazione italiana?
Noi che viviamo all’estero sappiamo che l’Italia è forte, siamo caduti tante volte ma ci siamo sempre rialzati, abbiamo sempre lottato e abbiamo la forza di superare crisi, anche quella attuale che non è di facile risoluzione. Ora il confronto politico sta raggiungendo livelli draconiani ma, se veramente vogliamo superare la crisi, dobbiamo capire che tutti dobbiamo metterci le mani nelle tasche, troppa gente è in condizioni disagiate e i laureati non trovano lavoro, vanno all’estero e portano il meglio del nostro Paese al di fuori dei confini italiani. L’emigrazione non fa bene, anche dal punto di vista psicologico.
Discussione su questo articolo