Roma – Si dibatte internamente al gruppo, ma poi si segue la linea ufficiale. L’onorevole Marco Fedi, residente in Australia ed eletto all’estero con il Partito Democratico, sceglie Italiachiamaitalia.it per rispondere a chi dice che il nuovo partito renziano è sdraiato sulle posizioni della segreteria nazionale. Eletti all’estero compresi.
Tra Italicum e primarie, il Pd appare sempre più spaccato. Le correnti interne stanno per dare vita a un nuovo partito?
Non credo si stia arrivando a una rottura, ma esistono certamente delle valutazioni da fare. Personalmente ho deciso di non aderire a nessuna corrente interna per una semplice ragione, il Pd è un grande partito ma deve risolvere due questioni fondamentali che, fino ad oggi, non ha affrontato.
Quali sono?
La prima riguarda il modo in cui il partito assume le decisioni sui grandi temi, è necessario che si sviluppi un meccanismo decisionale che non sia solo direzione nazionale ma coinvolga la base. Il secondo aspetto riguarda le primarie, vanno riviste, altrimenti avremo sempre ricorsi e polemiche interne, tipo il caso Liguria. In questo momento il dibattito sulla legge elettorale e sulla riforma nasce proprio dal fatto che non c’è stato un confronto precedente serio, con la base del Pd.
Se ritiene che non ci sia stato un dibattito serio, per quale motivo sta seguendo la linea del gruppo?
Abbiamo deciso, come gruppo, di sostenere il disegno di riforma proposto dal governo, io lavoro col gruppo parlamentare di cui faccio parte e, finché ci starò dentro, gli sarò fedele. Vorrei evitare però che si scarichino sui gruppi parlamentari le tensioni interne al Pd, finora non abbiamo vissuto momenti di vera tensione, è ancora tutto recuperabile e, quindi, spero che da qui in avanti si possano sanare queste situazioni e cambiare in meglio il testo. Spero soprattutto che le tensioni non si scarichino sul prossimo appuntamento, quello per l’elezione del presidente della Repubblica.
Diceva che le primarie “devono essere riviste”. In quale modo?
Chiarendo il fatto che, se ci si pone di fronte all’elettorato dicendo che sono aperte a tutte e libere dal tesseramento, è ovvio che si devono accettare anche le conseguenze come è accaduto in Liguria. Se sono accessibili a chiunque, è ovvio che possono partecipare anche i personaggi chiaramente di destra o, addirittura, gente indagata o vicina a mondi che non sono in linea con il pensiero del Pd. Bisogna individuare un meccanismo in cui votino solamente gli iscritti, però deve essere un tesseramento fatto bene, senza i vari mercati visti in giro per l’Italia che, purtroppo, hanno riguardato anche il Pd ma non solo.
Quindi ha ragione Cofferati quando dice che Renzi ha deciso di sfruttare le primarie per comprarsi i voti?
No, non sto dicendo quello che dice Cofferati e francamente non credo proprio che Renzi si sia messo a comprare pacchetti di voti in giro per l’Italia. Il mio discorso è diverso, penso che se accetti un meccanismo come quello delle primarie aperte a tutti, allora ne accetti anche le conseguenze. L’unica alternativa sarebbe rinunciare allo strumento primarie, ma è evidente che, se la nuova legge elettorale premia sempre di più le liste bloccate, allora le primarie sono necessarie. Solo se avessimo un maggior numero di eletti con preferenze potremmo rinunciare alle primarie. Credo che, di fronte a queste situazioni, avremmo dovuto sviluppare una discussione più seria prima negli anni, la responsabilità non è solo di Renzi ma di tutte le dirigenze del Pd fin da quando è nato il partito, perché non hanno sviluppato un meccanismo interno adeguato.
Qual è il suo candidato per il Colle?
Non ho preferenze, ci sarà una discussione interna per definire una rosa di nomi e, quando la avremo, ci presenteremo di fronte al Parlamento. Il mio orientamento è quello di seguire il gruppo, a meno che non propongano candidature che siano impresentabili. Valuterò i nomi proposti dal segretario Renzi che sosterremo con lealtà. Spero in un nome che provenga dalla nostra area, ne abbiamo tanti che sono all’altezza del compito, sapranno fare bene questo lavoro e garantiranno anche chi non li voterà.
Seguirà il gruppo anche su questo aspetto, quindi, come stanno facendo quasi tutti i suoi colleghi. Fino a un anno fa eravate pronti a dare battaglia su tutto, ma da quando Renzi vi ha fatto stravincere alle europee seguite la segreteria a testa bassa. Non vi siete appiattiti?
È una critica legittima che, però, personalmente respingo. Sui temi degli italiani all’estero manteniamo un atteggiamento coerente e di critica sulle chiusure consolari, sulle detrazioni fiscali per il carico di famiglia e sul personale che lavora con contratto all’estero. Continuiamo a criticare con la stessa accuratezza del passato, naturalmente però siamo stati eletti con un partito che ha investito in noi in termini politici e, per me, abbandonare il Pd significherebbe abbandonare tutto quello che ho fatto nella vita politica e personale. Per prendere decisioni di questo tipo devono accadere cose molto più gravi delle diatribe interne. Non è vero che non critichiamo, lo facciamo internamente al partito, ci sono momenti di discussione interna che non arrivano sulle pagine dei giornali, poi però la maggioranza deve decidere altrimenti il meccanismo si inceppa. Qualsiasi meccanismo ha una maggioranza e una minoranza e quest’ultima deve accettare l’idea della prima, per essere coerente.
Però sembrate essere passati di colpo dall’anti-renzismo al pro-renzismo. Solo Micheloni (senatore Pd eletto oltre confine e presidente del Comitato per le questioni degli italiani all’estero in Senato, ndr) mantiene fermo sulle sue posizioni, tanto che ieri si è astenuto sugli emendamenti Gotor in aperto dissenso con il suo gruppo. Sulla legge elettorale ha dichiarato: “nessuno ci pensa, ma con questa legge chi avrebbe vinto tra Bersani e Grillo?” e, a proposito della riforma costituzionale, ha perfino detto: “non posso chiamare riforma quello che è uscito da questo Senato”.
Micheloni ha partecipato alle decisioni all’interno del suo gruppo e ha deciso che le situazioni politiche avessero raggiunto un punto di gravità tale da portarlo a quelle decisioni. Per me non è così, mi ritrovo nella riforma costituzionale, abbiamo provato a migliorala e ci siamo riusciti, ora dobbiamo chiuderla presto e, in questo, sono d’accordo con Renzi. Qualche collega pensa che si possa rendere perfetta semplicemente riaprendo la discussione su alcuni singoli emendamenti al Senato, ma questo non era possibile, non posso essere d’accordo con chi vuole riaprire un dibattito infinito a causa di singoli emendamenti, dobbiamo arrivare al punto in cui diciamo che questa riforma va fatta, anche se non è possibile migliorarla più di così. Micheloni e io abbiamo posizioni diverse su questa vicenda.
Tra ciò che è migliorabile rientra senza dubbio anche il sistema di elezione dei Comites. Vi aspettate una forte partecipazione?
Abbiamo organizzato le elezioni in assenza di un adeguato piano di risorse economiche, che attualmente non sono abbastanza, e in assenza di un vero ruolo di questi comitati che si sono un po’ svuotati di significato, non per loro colpa, visto che ci sono all’interno tante persone di buona volontà. Aver riaperto le iscrizioni ha portato un risultato abbastanza in linea con le aspettative e, se riuscissimo ad arrivare all’otto o al dieci per cento, sarebbe già un buon risultato rispetto alla partenza. Ora dobbiamo pensare a un meccanismo complessivo più strutturato e efficiente, i connazionali chiedono un sistema di rappresentanza più moderna, non più organizzata sulla base di comitati che pagano un affitto e si riuniscono ogni tanto in quella sede.
Quale sarebbe l’alternativa possibile?
Il sistema australiano, che posso citare come ispirazione perché funziona, consiste nell’organizzare un numero prestabilito di incontri presso la nostra ambasciata tra personalità che conoscano la realtà italiana all’estero dal punto di vista culturale, linguistico e imprenditoriale, persone che facciano il punto della situazione con l’ambasciatore e propongano soluzioni. Sono persone che lo farebbero a costo zero e questo consentirebbe di avere personalità che hanno in mano anche alcuni elementi importanti per comprendere le nostre comunità.
E chi li sceglierebbe?
C’è sicuramente un problema di individuazione di queste personalità, è vero. Ma dall’altra parte abbiamo il sistema dei Comites che, con l’elezione diretta, ci restituisce organismi eletti ma che non hanno potere. Allora mi chiedo, a che serve questo meccanismo di rappresentanza politica se è eletto ma non ha funzioni né poteri?
Prima accennava alle problematiche connesse con gli italiani nel mondo. Avete in programma degli incontri con i rappresentanti del MAE per discutere di queste questioni? Esiste un canale preferenziale di dialogo con la Farnesina su questi temi, visto che lei è del Pd e al governo ci siete proprio voi?
Avevamo incontrato in alcune occasioni il viceministro Pistelli, col quale avevamo concordato la necessità di avere incontri periodici, spero che ora a inizio anno si possa ripartire perché c’è molto da fare con la rete consolare. Attiveremo anche altri canali politici con la Farnesina mentre, per quanto riguarda i meccanismi tradizionali, attualmente possiamo avvalerci solamente dei due comitati, alla Camera e al Senato. In qualche occasione c’è stato un impegno giusto di Giro (sottosegretario agli Esteri con delega agli italiani nel mondo, ndr) che ci ha sentito sui Comites, ma sappiamo che non basta, stiamo cercando di costruire un meccanismo più ampio che ora non c’è.
A che cosa si riferisce?
Un meccanismo che coinvolga anche gli altri ministeri, noi dialoghiamo solo con la Farnesina ma vorremmo parlare con il Mef per le tassazioni, con Palazzo Chigi per l’informazione, con il ministero del Lavoro per la previdenza sociale. Avremmo bisogno di un coordinamento più ampio in questo senso.
Ha accennato alla riforma della legge elettorale. Il meccanismo di voto oltre confine non verrà toccato?
No, anche se c’è chi tenta sempre di mettere bocca su questa questione. L’aspetto più grave del tentativo del Movimento 5 Stelle è che è sostenuto anche da altri schieramenti, ma in forme meno aperte, come fa la Lega che li sostiene di nascosto su alcuni emendamenti o come fa Sel che non vuole l’eliminazione della circoscrizione ma chiede una riduzione degli eletti. La cosa più grave, a mio avviso, non consiste nell’eliminazione della circoscrizione estero, che non mi preoccupa e non mi spaventa, il problema è che nessuno di loro si è posto il problema di risolvere l’elettorato attivo. Ossia: come li facciamo votare? Sui collegi italiani? Se eliminiamo la circoscrizione di fatto eliminiamo il voto estero, i connazionali non avrebbero un meccanismo di voto per loro. È irresponsabile l’atteggiamento di chi non trova una risposta o una soluzione al diritto di voto prima di eliminare la circoscrizione estero. Mi va bene abolirla, ma troviamo altre soluzioni affinché chi vive fuori possa votare chi si candida in Italia, facciamoli votare con un meccanismo elettorale per corrispondenza o nei seggi, però troviamo il modo. Vedo che alcuni al Senato, ad esempio Aldo Di Biagio (senatore di Area Popolare, eletto nella ripartizione estera Europa, ndr), si sono posti il problema e hanno proposto di pensare a un meccanismo che permetta il voto. Il dibattito alla Camera, invece, prevede ancora la circoscrizione estero quindi, a meno di sorprese molto improbabili, almeno in questo ramo del Parlamento il voto è salvo.
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