Il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, ha affermato sul Corriere della Sera: “Io in politica? Mai dire mai, candidarsi e’ un diritto di tutti". Precisando che dall’estero continuerà a partecipare al dibattito italiano in modo più libero visto che finora gli dicevano che un pubblico ministero “non puo’ parlare". In effetti questo magistrato sta incredibilmente abusando del proprio ruolo super partes, mentre lo Stato non fa assolutamente niente, trattandolo come un Pierino che fa i capricci, quando i genitori gli dicono di non rispondere ai rimproveri. La Magistratura (e lo Stato) sta accettando un’aberrazione costituzionale macroscopica.
Quando il PM afferma che può parlare perché è un suo diritto, ha torto marcio, in quanto la sua posizione è equiparabile a quella dei militari e dei preti. Nessuno di questi, infatti, può esporsi politicamente ed acquisire un ruolo ideologico al di fuori della propria funzione, in quanto rappresenta e difende tutti i cittadini o fedeli qualunque sia la loro tendenza politica. Anche per la magistratura, come per la Chiesa e per le Forze Armate, la “forma” (quella di non dar adito a giudizi estranei al ruolo) non è facoltativa, ma è “substantia” fondamentale ed indispensabile al proprio operato. Il comportamento e l’esposizione secondo precise regole è un fattore imprescindibile per chi debba giudicare. Chi deve essere giudicato, non deve avere minimamente il sospetto che, per questioni personali (di fede politica, ma anche di altro genere) abbia un trattamento diverso da altri e la Magistratura non deve assolutamente offrire il minimo dubbio che questo possa mai succedere. Come? Vietando tassativamente di parlare in pubblico (al di fuori del ruolo istituzionale) o, cacciando il magistrato desideroso di “medialità televisiva”!
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