Casa Dalla. Un museo meraviglioso scrigno di ricordi e di testimonianze. Il luogo dei segreti e della fantasia. Il percorso di una vita. I punti cardinali
di un’esistenza piena, intensa, alta, straordinaria. Un emozionante viaggio nel mondo fantastico di Lucio, morto a 68 anni, stroncato da un infarto all’hotel Ritz di Montreux il primo marzo di quest’anno. Lo storico palazzo aperto al pubblico dagli eredi di Dalla a otto mesi dalla scomparsa. Appresa la notizia, mi sono precipitato, affrancando la mia domenica dai monotoni veleni del campionato di calcio e dalle cose sempre più oblique e fasulle che il pallone propone con il sostegno della grancassa dei media. Mostrate le terga allo sfizio italiano, eccomi a casa Dalla, in via Massimo D’Azeglio, a Bologna.
Un’emozione e uno sballo, da rimanerci a bocca aperta e con l’occhio incantato. E quella curiosa, struggente sensazione del mito che sopravvive alla morte. Il piacere di ritrovare uno e qualcosa che ti ha accompagnato e tenuto per mano, addolcendotela, la vita. Quelle parole e quella musica che mi
hanno invitato, con dolcezza e talvolta in maniera ruvida, a pensare e a riflettere. Perdonate l’emozione che mi ha spinto e trascinato piacevolmente fuori controllo. Come averlo rivisto e ritrovato, Lucio Dalla. All’ingresso mi ha preso immediatamente una sensazione che non riesco a definire con un solo aggettivo e una sola parola. La sensazione di ritrovarsi davanti a lui e alle sue canzoni, alla sua anima di uomo dal multiforme ingegno. Dalla era tante cose, tutte insieme, e tutte belle. Artista, menestrello, mecenate, tifoso dell’amato Bologna Football Club e della Virtus Basket. Gli amori, le sue passioni, di sportivo e tifoso, immancabile presenza allo stadio e al Palazzo dello sport, quando poteva lui era lì, a soffrire, tifare, gioire, arrabbiarsi. Mai disperarsi, però. Sarà per un’altra volta, quasi canticchiava quando la sconfitta prendeva il sopravvento sulla vittoria. Queste due bugiarde, ammoniva Kipling, da trattare con la stessa faccia. Un concetto profondo che dovrebbe insegnare il comportamento negli stadi ai tifosi di tutto il mondo. Lucio si è affidato sempre alla compostezza. Casa-museo Dalla. Al numero 15 di via D’Azeglio, secondo piano. Il campanello, in verità, non segnalerebbe che qui ha vissuto e abitato Lucio Dalla: c’è scritto commendator Domenico Sputo. Ho letto e riletto, non senza smarrimento e sorpresa. Questa non la sapevo, ignoravo. Domenico Sputo è uno dei tanti pseudonimi con cui l’artista trasformava la sua esistenza di uomo di spettacolo inserito da lui medesimo in una vita piena di originalità. Il palazzo del ‘600 è come collegato da un breve cordone ombelicale con piazza Maggiore. La Piazza Grande di una delle sue canzoni più popolari: l’abbraccio di Bologna, il canto di Bologna, la vita di Bologna con i suoi personaggi e le sue esclusività, in parole e musica. Dalla è qui, presente e mai mutato. Come fosse vivo, ancora vivo. I soffitti affrescati e intarsiati, le foto dei Papi e i quadri di nudi, Madonne, i dischi d’oro, i Crocefissi quattrocenteschi, le opere di artisti amici, veri amici. Grandi artisti, grandi suoi pari: Cantaroli, Ontani, Palladino. E i presepi napoletani, ovunque. Fissi, nel senso che lui pretendeva che non fossero mai smontati, neppure nella calura opprimente di luglio e agosto. C’è anche Lucio in versione pastorello, opera di Ferrigno. Il gran maestro dell’inimitabile prestigiosa antica arte presepiale napoletana, con bottega e fabbrica a San Gregorio Armeno, nel cuore e nel ventre di Napoli.
Duemilacinquecento metri quadrati, casa museo Dalla è uno spazio ricco di meraviglie. A regolare l’afflusso delle visite, massiccio nel fine settimana, un attento servizio d’ordine all’ingresso, custode momentaneo di un patrimonio valutato 100 milioni di euro. Eredi i cinque cugini di Lucio. Gli eredi hanno affidato la gestione dell’evento alla Fai. I proventi della visione da dentro della strepitosa quotidianità di Dalla sono destinati alla ricostruzione del palazzo comunale di Finale Emilia, sbriciolato dal terremoto di maggio. La visita è un emozionante percorso nell’incantesimo. Un viaggio in un equilibrio che lascia appunto a bocca aperta. C’è tanto di tutto. Anche le metafore, ovvio. Intanto una, per gradire: la corona lignea nella testata del letto di Lucio. Metafora del castello incantato e lui il piccolo principe. E il Gesù Bambino in ceramica riporta il cuore e la mente a 4 marzo 1943. Più in là, la copertina disegnata da Lucio Manara per “12000 lune”, indimenticabile album. E il pianoforte Steinway, il vero padre dell’ultimo spettacolare tour con Francesco De Gregori. A conclusione del percorso che consente l’arricchimento dell’anima, la sala dei cretini, location del tifo sportivo, non solo dei giochi. Sedie in legno, lo schermo cinematografico, la foto di un minuscolo Lucio “grande playmaker mancato”, come lui amava definirsi, con Gus Binelli, un gigante, il pivot della Virtus. E una serie di giostre in miniatura pronte a partire tutte insieme, a suon di musica. La musica irripetibile di Lucio Dalla, gloria a lui. E grazie di cuore agli eredi: chi non ha approfittato dell’apertura della casa museo non sa cosa si è perso.
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