La piazza a Hong Kong torna a sfidare Pechino: gli attivisti autonomisti e pro-democrazia hanno manifestato per chiedere il suffragio universale per eleggere il premier dell’ex colonia, finora nominato da un Comitato che gli attivisti ritengono in gran parte controllato dal potente vicino. Ma quest’anno i manifestanti hanno subito la delusione di un numero partecipanti inferiore alle attese, circa 30.000 – 11.000 secondo la polizia – invece dei 50mila sperati e a fronte dei circa 130.000 manifestanti della protesta di un anno fa. Una prova di forza con cui gli abitanti di Hong Kong intendono mostrare periodicamente – il primo dell’anno e in un paio di altre date, fra cui il 4 luglio, anniversario della strage di piazza Tienanmen – tutta la loro insoddisfazione e impazienza di fronte alla vaghezza delle promesse di Pechino.
La manifestazione e’ partita dal Parco Victoria e dopo circa un’ora, fra massicci schieramenti di polizia, e’ arrivata al quartiere finanziario della citta’ passando per la centralissima Causeway Road. Secondo il giornale locale South China Morning Post, la polizia ha arrestato quattro manifestanti che avevano cercato di scavalcare le transenne per lanciare dei pomodori. Inoltre si sono registrati alcuni piccoli tafferugli, come davanti ai magazzini Sogo, dice il giornale. Gli abitanti di Hong Kong godono della liberta’ di parola, sconosciuta sul continente, ma Pechino controlla largamente in realta’ la vita politica locale. Un mese fa e’ stata lanciata una consultazione pubblica sul futuro sistema elettorale di Hong Kong, ex colonia britannica tornata alla Cina nel 1997 con uno statuto di autonomia. Da allora Pechino si e’ attenuta formalmente al principio di "un Paese, due sistemi", ma i democratici temono che la Cina stia tentando di svuotare lentamente di contenuti l’autonomia politico-amministrativa della citta’-arcipelago.
La Cina ha promesso di introdurre il suffragio universale diretto per l’elezione del capo dell’esecutivo nel 2017 – cioe’ a 20 anni dalla restituzione alla Cina – e del Parlamento nel 2020. Ma molti attivisti locali per la democrazia dubitano di tali promesse, il cui termine viene regolarmente ritardato e temono che le elezioni saranno "manipolate" da Pechino. Con il sistema attuale, invece, il capo dell’esecutivo e’ eletto da un comitato di 1.200 membri in gran parte pro-Pechino. "Siamo cittadini di Hong Kong, dobbiamo votare", ha detto dal corteo Sharon Tang, un impiegato d’ufficio di 49 anni che come altri manifestanti accusa il capo dell’esecutivo di Hong Kong, Leung Chun-ying, di fare il gioco di Pechino. "Se una volta protestavamo per piazza Tienanmen e contro il comunismo – racconta al SCMorning Post un manifestante, il pensionato Tang Kam-man -, ora il problema e’ tutto locale. Vogliamo un ‘vero’ suffragio universale, non la ‘selezione’ dei candidati" da parte del governo cinese. "Io lavoro nella Cina metropolitana e so molto di come la’ lavorano e fanno politica, e non voglio vedere Hong Kong inquinata in quel modo", conclude Tang.
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