Il nuovo allarme della Bce aumenta il disorientamento generale: disoccupazione e debito pubblico, dice la Banca centrale, pesano troppo sulla ripresa economica. Peccato che l’una dipenda dall’altro in un perfetto corto circuito. Non ha torto percio’ il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi nel temere una recessione peggiore delle previsioni, con una perdita di Pil che potrebbe sfiorare a fine anno il 3 per cento. L’andamento delle spread, di nuovo attorno ai 460 punti, riflette tutte queste incertezze sebbene il Tesoro abbia collocato Bot con rendimenti in calo (contrapposizione comunque anomala).
In questo scenario, il governo boccia la concertazione per avere le mani libere in caso di necessita’ di nuovi colpi di timone. Ma non sembra avere fatto i conti con il Pd che non puo’ incassare una posizione di questo tipo senza forti contraccolpi a sinistra. Non a caso Pierluigi Bersani ha rotto il silenzio ricordando di aver fatto da ministro riforme impegnative discutendo con tutti. Il segretario democratico non ha nessuna voglia di pagare il prezzo di una rottura con la Cgil e lo lascia capire chiaramente. In casa democratica c’e’ irritazione anche per come palazzo Chigi ha gestito la vicenda Rai, rischiando di logorare i rapporti all’interno della ‘strana maggioranza’. Bersani non avra’ mancato di sottolineare tutti questi aspetti nel suo colloquio con il capo dello Stato. Non sembra un caso che il responsabile economico del partito, Stefano Fassina, parli di rischi di involuzione democratica dietro lo schermo della riduzione del debito pubblico.
Sono tensioni che non agevolano la ricerca di un’intesa sulle riforme. Sulla legge elettorale manca infatti qualsiasi reale punto di contatto. In sintonia con il Quirinale, il presidente del Senato ha fatto presente che senza un accordo si andra’ al voto a maggioranza in Parlamento ma e’ chiaro che cio’ rappresenterebbe uno stress fatale per la Grande Coalizione.
Ecco perche’ i centristi sono al lavoro per una mediazione. E Fabrizio Cicchitto fa sapere che il Pdl e’ disponibile a discutere di varie ipotesi, dal presidenzialismo francese al modello spagnolo e alle preferenze. Tuttavia l’eterogeneita’ di tali proposte induce al sospetto che anche i berlusconiani non sappiano bene che pesci prendere perche’ una strategia per il 2013 non e’ stata ancora decisa.
L’annuncio della candidatura di Silvio Berlusconi scompagina infatti le carte. Ha raccolto malumori nel Pdl, dove c’e chi ha visto restringersi i propri spazi, e allarmato gli avversari che temono una specie di ritorno di Napoleone dall’Elba. I futuristi di Fini ironizzano sul fatto che il Cavaliere ha restituito il nemico da combattere ma a ben vedere il sarcasmo maschera ben altre preoccupazioni: che il ritorno di Berlusconi in scena riconquisti al Pdl delusi e astensionisti sottraendo al Pd lo status di partito di maggioranza relativa nel futuro Parlamento.
Certo, il prezzo da pagare puo’ essere uno svuotamento della figura di Angelino Alfano: il delfino restera’ tuttavia seduto sulla poltrona che conta, quella di segretario, essendo evidentemente irrealistico che il Pdl possa esprimere il futuro premier. Il risultato dell’operazione potrebbe essere percio’ un ‘salvataggio’ del partito in declino, anche con un nuovo nome, e dunque del peso contrattuale del centrodestra in un eventuale quadro di larghe intese. Un modo per tentare di sbarrare anche la strada di palazzo Chigi a Bersani e forse, paradossalmente, di consentire la sopravvivenza politica dello stesso Monti.
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