Roma – Dalla Lega all’Europa. Angelo Alessandri, storico esponente del Carroccio in Emilia, uscito dal partito “perché non aveva più alcun senso rimanere”, è deciso a portare nel Parlamento europeo il suo nuovo movimento, Io Cambio, che condivide la lista con il MAIE di Ricardo Merlo e “nasce dalla consapevolezza che tutti i partiti, anche quello a cui appartenevo, non hanno saputo cambiare nulla”.
Alessandri, quali sono i primi punti, concreti, del suo programma?
“È tutto da rifare. Il vero problema è che da troppi anni ci si aspetta che l’Europa batta un colpo e invece siamo ancora qui in attesa. L’Italia ha ormai ceduto tutta la sua sovranità a Bruxelles, bisogna pretendere di riavere indietro ciò che ci è stato tolto. Se pensiamo che basti eleggere alcuni rappresentanti parlamentari europei per cambiare il sistema ci sbagliamo di grosso”.
Quali sono, allora, i passi da compiere?
“Dobbiamo ridiscutere almeno i quattro trattati internazionali che ci stanno distruggendo. Ci troviamo di fronte a una media di mille aziende che chiudono ogni mese, dieci aziende serie e importanti che delocalizzano ogni mese. È un’agonia destinata a diventare un disastro, sono in costante aumento le famiglie che entrano nella soglia di povertà”.
Oltre i dati che tutti conoscono, però, quali sono le azioni concrete?
“Partiamo dal trattato di Lisbona e dal fiscal compact, è indispensabile ridiscuterne il contenuto. Uno degli aspetti da modificare è la gestione della Bce. Non c’è alcuna politica comune su temi importanti come immigrazione e occupazione e sulla Bce, invece, c’è una linea ben definita che, però, dobbiamo cambiare. Riprendiamoci i soldi da dare alle famiglie per i loro mutui”.
A proposito del tema immigrazione, che cosa dovrebbe fare l’Europa per aiutare Lampedusa?
“Gli interventi di Alfano e Renzi di questi giorni sono assolutamente tardivi, noi già sei anni fa alzammo la voce sul problema. Abbiamo due progetti come Frontex e Mare Nostrum dove si investono soldi senza risolvere realmente nulla. L’Europa deve rivedere gli accordi, è inutile parlare di unione se poi non agiamo insieme, bisogna avere il coraggio di dire che ci sono politiche da rivedere e azioni da mettere in comune”.
Quali sono gli stati che, finora, hanno frenato l’affermazione di un’Europa più equa?
“Quella in cui viviamo è un’Europa germano-centrica, costruita non sull’idea dei padri fondatori, che era quella di ‘un’Europa dei popoli’, ma sulla volontà di Kohl e Schröeder, i tedeschi hanno piazzato i loro burocrati nei punti chiave e ci hanno impoverito, hanno venduto il ‘made in Germany’ portandoci tutti al livello del marco. Ormai il ‘made in Germany’ esporta per il 60 per cento nei paesi del Brics e ai tedeschi non sta più nemmeno bene pagare i nostri debiti. Si tratta ormai di rapporti di forza, di un braccio di ferro tra stati obbligati a stare insieme”.
Come ha conosciuto la realtà del MAIE e quali sono i punti in comune tra i due movimenti?
“L’accordo è maturato nelle settimane ed è nato dopo una conoscenza casuale, come accade spesso in politica. Ho conosciuto Ricardo Merlo e ci siamo trovati in sintonia su molti argomenti, ad oggi sono molto soddisfatto del percorso svolto e di quello che possiamo fare insieme. Devo dire, tra l’altro, che né io né gli altri del movimento avevamo una chiara percezione della seconda Italia che, invece, esiste all’estero. È una concezione che ai più sfugge, vedere quanti connazionali vivono e lavorano nel mondo rimanendo legati alla madre patria ci ha fatto riflettere. Bisogna cominciare a ridare fiato a chi ha proprietà in Italia, pur vivendo al di fuori dei confini nazionali, e vuole investire ma si trova sempre di fronte alla burocrazia”.
Su quali fronti Io Cambio e MAIE possono collaborare?
“Cominciamo a mettere in chiaro la questione dell’Imu sugli immobili di chi vive all’estero. Ci vuole poi un grande rilancio dei due strumenti fondamentali e ora inutilizzati che, invece, possono rilanciare il commercio sia a livello nazionale che internazionale, Ice e Simest”.
Anche quando era nella Lega si preoccupava degli italiani nel mondo? O anche lei riteneva superflua la circoscrizione estera?
“No, affatto. Nella Lega avevamo uno strumento che seguiva proprio i padani all’estero e anche io ho una cospicua parte di parenti a Buenos Aires. Durante la crisi argentina ho seguito molto le vicende di chi avrebbe voluto rientrare in Italia, ma si è trovato davanti a una porta chiusa”.
La stampa si è occupata molto della sua lista per la presenza di Vannoni, inventore del metodo Stamina in Italia. Il nome di un personaggio a suo modo noto è un modo comodo per attrarre voti. Come ha conosciuto la vicenda stamina e per quale motivo se ne è interessato?
“Vannoni è stato molto corretto con noi, ha avuto altre proposte di partiti più importanti che gli avrebbero potuto garantire un’elezione sicura, ma lui ha scelto il nostro movimento. Prima di Vannoni abbiamo conosciuto le famiglie dei malati e ci siamo interessati a loro quando la politica non lo faceva. Prima di parlare dell’argomento, molto delicato, siamo andati a cercare di capirne un po’ di più, non ci sono dubbi che alcuni bambini e adulti siano sopravvissuti nonostante dovessero vivere ancora per poche settimane, purtroppo da quando non fanno più le infusioni sono regrediti molto e rischiano la vita. Non entriamo nel merito del dibattito scientifico, diciamo solo che è giusto sostenere il concetto di cura compassionevole; in realtà tutto questo potrebbe toglierci dei voti, invece che portarceli, ma non ci interessa. È una battaglia sacrosanta, ho un figlio piccolo e mi chiedo ‘se toccasse a lui?’. Vannoni ha scelto noi perché ci ha visti in piazza con loro, anche se siamo un movimento appena nato, stiamo partendo proprio ora”.
Lei riparte con una nuova realtà dopo tanti anni in un altro partito. L’idea di formare un suo movimento era maturata già negli ultimi tempi all’interno del Carroccio?
“No, in realtà venne dopo. Mollai tutto perché non ce la facevo più, non capivo cosa stessi facendo e quindi me ne andai. Una serie di amici mi chiese di sostenere le battaglie iniziate e non lasciarle perdere, alla fine siamo ripartiti con Io Cambio con la consapevolezza, però, che i partiti hanno solo promesso e mai realizzato, compreso il mio. Dopo venti anni il ciclo è finito, lì mi è venuta l’idea di ripartire in maniera totalmente nova, con un movimento che non sia solo di protesta ma anche di proposta concreta, con una logica di partecipazione. A un anno da quell’idea siamo qua, siamo una ‘banda di matti’, e sono i matti quelli che cambiano la storia, di solito”.
Come ha scelto i candidati? Vengono dal territorio o da altre storie politiche?
“Abbiamo scelto candidati che portavano avanti già battaglie sul territorio, spesso anche calpestate. Loro rappresentano tutti gli italiani, gli anziani e i giovani, quelli che vengono dai territori violati dai cataclismi e dimenticati dallo Stato. Sono tutti nuovi tranne due o tre che, come me, hanno esperienza. Serve anche quella”.
Che cosa non le andava più bene nella Lega di Maroni?
“Era diventata una Lega che guardava solo al lombardo-veneto. Io ho portato l’Emilia dal 2 al 18 per cento e sentirmi dire, così come mi è stato detto dopo anni di lavoro, che quella terra non gli interessava più, è stato insostenibile. E poi avevo visto il partito frantumarsi troppo, da tre mesi mi interrogavo sul mio obiettivo. Togliere gli stimoli a uno come me è difficile, ho fatto una scelta personale anche se potevo rimanere sicuro e tranquillo dov’ero. Ho scelto di ripartire da zero, alla fine o mi abbattono o cambierò tutto”.
Quanti voti puntate a prendere?
“È difficile fare una stima, si respira un umore strano. Quando parliamo riceviamo consenso ma il problema è farci vedere, o fai parte del sistema o sei isolato. Sento in giro molta rabbia ma, allo stesso tempo, tanti che potrebbero cambiare le cose andando a votare non vanno. I sondaggi circolati negli ultimi giorni sono da rivedere, nulla è già deciso”.
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