C’e’ chi osserva come le parole di Mario Draghi a difesa dell’euro abbiano pesato sui mercati piu’ di molte manovre economiche: in una sola giornata hanno alleggerito lo spread italiano di quasi 50 punti e fatto volare piazza Affari del 6 per cento. Numeri da capogiro. L’interrogativo e’ se cio’ non sia la prova di una crisi anomala, difficile da maneggiare. In sostanza il governatore della Bce ha preso le redini della controffensiva sui mercati persino in anticipo sul timing imposto dalla Germania: in molti rilevano che il banchiere centrale riempie un vuoto politico sebbene in passato abbia avvertito che non e’ questo il suo compito. Si torna cosi’ al problema centrale, la necessita’ che l’Ue si trasformi ben presto in un vero soggetto politico unitario (gli Stati Uniti d’Europa), dotato di una sua banca centrale con poteri analoghi a quelli della Fed americana. Soprattutto adesso che il Fondo monetario ha inquadrato l’uragano che si ammassa all’orizzonte dell’eurozona dopo quello degli spread, il debito degli Stati Uniti, definito il primo problema dell’economia mondiale.
Mario Monti, che ne e’ ben consapevole, ha in programma una missione ad Helsinky e a Madrid (i due poli estremi della questione debito Ue) per tessere un compromesso diplomatico che consenta il rilancio dell’eurozona prima dell’arrivo del nuovo ciclone. Del resto che si tratti di un problema di velocita’ delle decisioni lo lascia intendere implicitamente lo stesso Draghi con l’allusione al ‘salvataggio’ della moneta unica: termine in se’ drammatico che sottolinea l’intenzione della Bce di non mollare e allo stesso tempo il rischio che incombe.
Ora, per il premier sarebbe tutto piu’ facile se i segretari della sua eterogenea maggioranza non fossero impegnati in un surplace a sfondo elettorale di cui non si intravvede la fine. La schermaglia sulla riforma del Porcellum sembra gia’ logora e, come dice il democratico Stefano Ceccanti, si tradurra’ quasi sicuramente in un ritorno al sistema ispano-tedesco sul quale i tre partiti (Pdl, Pd ed Udc) avevano gia’ trovato due volte un’ intesa. In realta’ dietro l’alchimia delle formule c’e’ l’ intenzione dei protagonisti di non assumersi in ogni caso la responsabilita’ di un ritorno anticipato alle urne: Maurizio Gasparri lo fa capire quando spiega che cio’ sara’ possibile solo se lo diranno le massime cariche dello Stato (cioe’ Quirinale e palazzo Chigi). E’ anche un dibattito prematuro: come dice Pierluigi Bersani, prima bisogna vedere che cosa accadra’ in agosto. La crisi economica si potrebbe incaricare di rendere indispensabile il voto nel caso fossero necessarie nuove manovre che, ad oggi, Pdl e Pd dicono di non poter votare. Sarebbe necessaria una sorta di investitura elettorale. Fermo restando che – osserva Gianfranco Fini – probabilmente nella prossima legislatura le larghe intese continueranno in modo diverso: dopo il voto, infatti, per la ‘strana maggioranza’ sara’ difficile sostenere che Monti e’ stata solo una parentesi ed allearsi con coloro che ne sono stati critici irriducibili. Cio’ e’ talmente vero che Antonio Di Pietro ha lanciato l’asse con Vendola e Grillo per una sorta di alternativa del radicalismo, mentre a destra ci si rende conto che una riedizione dell’asse del Nord e’ impossibile (e infatti nessuno ne parla).
Il quadro politico e’ talmente sfilacciato da rendere difficile qualsiasi pronostico. L’improvvisa morte del consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio ne e’ la prova evidente. Giorgio Napolitano se ne e’ detto sconvolto e ha sottolineato come contro il magistrato sia stata organizzata una campagna violenta e irresponsabile (si tratta dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia che ha contribuito a sollevare un conflitto istituzionale senza precedenti tra Quirinale e procura di Palermo). Di Pietro ha espresso il suo cordoglio ma si e’ schierato contro le ‘strumentalizzazioni’. Non ha torto Francesco Rutelli quando parla di una tragedia umana e purtroppo anche politica.
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