Il padre del voto all’Estero On. Mirko Tremaglia nella prima stesura della sua legge non prevedeva il requisito della residenza all’estero per i candidati della Circoscrizione estero perché, come disse al CGIE (dove tutto è verbalizzato), temeva che fosse incostituzionale. Ma molti Consiglieri, soprattutto quelli del CTIM provenienti dal Nord America, lo contestarono apertamente e con grande clamore.
Allora Tremaglia chiese un parere a cinque costituzionalisti. Nessuno di loro disse che sicuramente, al 100%, la legge sarebbe stata al riparo da eventuali contestazioni di natura costituzionale. L’escamotage fu quello di non indicare alcuna anzianità di residenza, in modo che chi volesse candidarsi all’estero potesse in poco tempo trasferire la propria residenza all’estero.
E così Tremaglia stilò il famoso art. 8 della sua Legge 27 dicembre 2001, n. 459 che, al punto b), recita: "i candidati devono essere residenti ed elettori nella relativa ripartizione". Quindi l’importante è che la loro residenza in un Paese della ripartizione sia correttamente formalizzata al momento della loro candidatura.
Poi ci fu il caso Di Girolamo che, venne appurato, aveva iniziato la pratica di cambio di residenza ma stupidamente non l’aveva mai completata regolarmente, per la serie "il diavolo fa le pentole ma non i coperchi".
Il povero Tremaglia cercò di tamponare lo scandalo presentando una proposta di legge il 29 aprile 2008 per modificare il succitato art. 8 con la richiesta di minimo 3 anni di residenza all’atto della candidatura. La presentò e la lasciò lì, non arrivò mai neppure in Commissione. Nè Tremaglia, uno dei più abili manovratori alla Camera, fece il minimo sforzo per "spingerla". Evidentemente temeva l’incostituzionalità che, qualora conclamata, con tutta probabilità, avrebbe cancellato del tutto il punto b) dell’art.8 e di residenza all’estero non si sarebbe più potuto parlare.
In conclusione a chi vuole candidarsi all’estero viene chiesto un attestato d’iscrizione all’estero (residente) e il suo certificato elettorale (elettore). Pertanto il chiacchiericcio che circola ogni tanto sui social network su "residenze false" perchè recenti o per altri motivi, in relazione alle elezioni all’estero, non ha fondamento nè giuridico nè morale. Serve solo ad alimentare leggende metropolitane. Anche perchè, fra l’altro, il Codice Civile italiano fa distinzione fra residenza e domicilio. L’art. 43 afferma che "la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale".
Più importante sembra essere il domicilio che può coincidere con la residenza oppure no, ma – come dice il citato art. 43 – "Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi".
Quindi chi lavorasse, guadagnasse e pagasse le tasse a Ventimiglia (Italia) pur essendo residente a Menton (Francia), potrebbe tranquillamente candidarsi nella circoscrizione Europa. La stessa cosa può fare chi ha i suoi interessi lavorativi e le sue attività a Roma e risiede a Londra oppure ad Atene oppure a Fiume…
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