Nel 2008 il suo approccio soft di fronte alla coltivazione della coca aveva provocato un durissimo scontro con Washington, che portò all’espulsione dal paese dell’ambasciatore americano e dei rappresentanti della DEA, l’agenzia antidroga e dell’USAID, l’agenzia per lo sviluppo internazionale. Oggi il presidente boliviano Evo Morales rivendica con orgoglio i risultati raggiunti e certificati dalle Nazioni Unite.
In Bolivia, il totale dei terreni coltivati a coca è sceso dell’11% lo scorso anno, con il quarto ribasso consecutivo. Nel 2014 nel paese c’erano 20.400 ettari di coltivazioni della pianta da cui viene prodotta la cocaina, con un calo di oltre un terzo – pari a circa 15 mila campi di calcio, dal 2010, ha detto il capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite che si occupa di droga e crimini in Bolivia, Antonino de Leo.
Secondo Morales, i dati mostrano che la guerra alla droga condotta dagli americani in America Latina ha ottenuto meno risultati del suo governo, che ha consentito la coltivazione limitata della coca e ha aiutato i contadini a sviluppare colture alternative. "Combattere una guerra alla droga su basi militari non è la soluzione, come abbiamo visto in alcuni paesi dove sono gli ufficiali americani a condurre la lotta alla droga", ha detto Morales facendo riferimento in particolare alla Colombia, che dal 1999 ha ricevuto 9 miliardi di dollari dagli Stati Uniti per combattere la cocaina e ha invece visto aumentare le coltivazioni del 44% solo lo scorso anno.
Attualmente la Bolivia consente una produzione legale di coca su una superficie di 12 mila ettari, che Morales, ex campesino a coltivatore proprio della pianta proibita, vorrebbe far salire a 20 mila. Morales ha fatto della questione una priorità assoluta del mandato, scontrandosi perfino con l’Onu e ottenendo nel 2013 l’autorizzazione alla coltivazione per scopi medicinali.
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