Pier Luigi Bersani si muove gia’ da premier in pectore ma deve fare i conti con difficolta’ non irrilevanti. E’ volato in Libia perche’ ritiene necessario valorizzare il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo e successivamente sara’ a Londra e Berlino per presentare il suo programma di governo, ma sa di doversi muovere con grande cautela scongiurando l’ombra della discontinuita’ con il governo dei tecnici. Da Mario Monti gli e’ giunto infatti l’implicito avviso che di qui in avanti nuovi aumenti delle spread (sceso brevemente sotto quota 300) potrebbero dipendere dal malumore dei mercati che non gradiscono certe velleita’ della sinistra vendoliana di rottamare la sua ‘agenda’.
Che si tratti di una lettura corretta delle parole del premier sull’andamento dei tassi lo dimostra l’attacco mosso da Italia futura, il movimento di Montezemolo, al Pd: secondo il presidente della Ferrari, il baricentro del partito si e’ spostato troppo a sinistra rispetto al progetto originario e la vittoria bersaniana propiziata dai voti di Vendola non potra’ non avere conseguenze sui programmi di una coalizione in cui convivono ‘le posizioni piu’ disparate e contraddittorie’. Una specie di riedizione dell’Unione prodiana. Pierferdinando Casini, colto un po’ alla sprovvista dalla durezza di questa sortita, si e’ affrettato ad appoggiarla sebbene essa suoni come un de profundis dell’alleanza tra democratici e centristi. Il problema del leader Udc e’ infatti quello di non perdere i contatti con Montezemolo, l’unica carta davvero nuova che il centro moderato e montiano puo’ mettere in campo in vista delle elezioni.
Tuttavia l’analisi di Montezemolo rischia di dare ragione alla strategia di Silvio Berlusconi. Per rimettersi in gioco, il Cavaliere spera che sia una coalizione eterogenea di stampo ulivista a dargli la chance di gridare al deja vu e al trasformismo: il leader di Italia futura denuncia proprio questo sia pure individuando a destra analoghe tendenze populiste.
Per Bersani e’ un problema. Anche perche’, dopo mesi di ‘strana maggioranza’, la legislatura rischia di concludersi nel modo peggiore senza nemmeno la riforma elettorale. Sulla nuova legge per il voto infatti Pd e Pdl sono a un passo dalla rottura: si rinfacciano calcoli di piccolo cabotaggio elettorale e la tentazione di penalizzarsi a vicenda. L’impressione e’ che le pressioni del Colle e dello stesso governo non siano servite a niente. Del resto il Pd con il Porcellum appare comunque avvantaggiato e le primarie per la scelta dei parlamentari lo sottrarrebbe all’accusa di aver favorito l’ingresso dei nominati in Parlamento.
Bersani, che al momento non sembra poter contare su un appoggio diretto di Matteo Renzi, non puo’ sottovalutare il pericolo che giunge da destra. Berlusconi e’ tentato dal rovesciare il tavolo, bruciando i tempi: con il pretesto del rifiuto dell’election day da parte del governo e del Pd, il Cavaliere potrebbe spingere per l’immediata crisi di governo come chiede da tempo la Lega. Obiettivo: resuscitare l’asse del Nord e rinvigorire per questa via le magre speranze elettorali del centrodestra.
Certo, la decisione non e’ stata ancora presa. Per avviarsi in questa direzione, Berlusconi dovrebbe prima avere ragione dell’ala montiana del partito e anche dello storico antileghismo della destra. Ma sarebbe un modo per tenere unito il Pdl schierandolo su una linea di superamento dell’austerity montiana, un ottimo cavallo di battaglia elettorale. Per ora il Cavaliere ha scelto la linea del silenzio, disertando anche il salotto televisivo di Bruno Vespa: conta di definire la linea politica nell’ufficio di presidenza del Pdl. E non sembra avere nessuna intenzione di spaccarlo perche’, come avverte Umberto Bossi, poi potrebbe essere impossibile ricostruirlo partendo da una lista personale del 5 per cento. In fondo la crisi immediata gli consentirebbe anche di scavalcare il nodo primarie: uno strumento di cui continua a diffidare, guardando anche il caos che si e’ determinato in quelle on line del movimento di Beppe Grillo.
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