Come in ogni battaglia, le fasi di attacco sono intervallate da quelle di difesa. Sembra un po’ quanto sta accadendo sul caso Berlusconi. Le ”colombe” del Pdl hanno interpretato l’intervento a sorpresa del Quirinale non solo come un monito contro i pericoli di una crisi, ma anche come un riconoscimento al ruolo che il Cavaliere puo’ ancora svolgere sullo scenario politico tenendo a bada i ”falchi” e proteggendo il cammino del governo. Angelino Alfano ha spiegato che ”la fiducia del capo dello Stato in Berlusconi e’ ben riposta”, ricordando come il leader del centrodestra abbia fortemente voluto l’esperimento delle larghe intese; ha anche escluso che Enrico Letta stia lavorando a maggioranze alternative. Il che fa il paio con l’ostilita’ di Napolitano alla nascita di ”governicchi” senza futuro. Basta cio’ a far pendere la bilancia in direzione della tregua? Forse no ma e’ indicativo che molti esponenti di primo piano della coalizione di governo, da Massimo D’Alema a Pier Ferdinando Casini, pensino che per Berlusconi e le sue aziende una crisi in questo momento sarebbe controproducente.
Anche Matteo Renzi e’ sicuro che il governo andra’ avanti. Naturalmente questo non vuol dire che le mosse del Pdl siano considerate un semplice bluff; piuttosto un modo dei berlusconiani di rifugiarsi in clinch, di abbracciare l’avversario per attutirne i colpi, in attesa di vedere che piega prende il match. Del resto i sondaggi parlano chiaro: sebbene il centrodestra appaia ancora in vantaggio sul centrosinistra, la popolarita’ del Cavaliere e’ in discesa e la maggioranza degli italiani pensa che dovrebbe prendere atto della sentenza. Dunque sfidare l’amato terreno statistico per Berlusconi potrebbe rivelarsi un azzardo capace di incrinare uno schieramento che invece ha bisogno di un nuovo leader per affrontare la difficile fase che si apre. Molto dipendera’, e i fedelissimi del Cav lo ripetono da tempo, da come si porranno in Giunta i commissari del Pd e di Scelta civica. Si esplorano tutte le strade, persino quella dell’incidente nell’esecuzione della pena (una sorta di ricorso in extremis), visto che l’appello alla Consulta contro la legge Severino e’ giudicato dalla maggioranza del Pd e dei montiani (ma forse non dell’Udc) una strada impraticabile. Certo, se ci si mette sul piano dell’umoralita’ non si fa molta strada. E l’impressione e’ che alla fine Berlusconi dovra’ scegliere tra l’accettazione, almeno iniziale, della condanna (sia pure da contestare in tutte le sedi opportune) e il salto nel buio di una crisi che contraddirebbe la richiesta di stabilita’ proveniente – come dice il premier – dall’Europa e dai mercati internazionali. Richiesta che, bisogna comunque ammettere, suona depotenziata dal fiasco che si e’ consumato al G20 sulla guerra in Siria e anche sulle misure da adottare a sostegno di ripresa e occupazione.
La confusione e’ accresciuta dalle proteste di grillini ed estrema sinistra e dalla battaglia precongressuale del Pd. Renzi e’ ormai in campo e non va per il sottile: punta ai consensi dei delusi di Berlusconi e di Grillo ma anche della sinistra interna con uno schieramento che vuole superare le correnti, assicura, e premiare i migliori di tutte le aree. In altre parole cerca di rivoluzionare la percezione del partito-ditta con un’apertura alla societa’ civile sotto la sua leadership. Ma da segretario o da candidato premier? Secondo Massimo D’Alema questo e’ l’equivoco che inquina la corsa del sindaco di Firenze: a suo avviso le due cariche non sono compatibili e poi sarebbe meglio se Renzi si dedicasse alla ricostruzione del centrosinistra lasciando il partito a Gianni Cuperlo (sostenuto dall’ex premier). Anche perche’, aggiunge D’Alema, Letta finira’ per appoggiarlo per non uscire sconfitto dal congresso il che creera’ una pericolosa dicotomia tra premier ed aspirante successore. Ma dal momento che le elezioni sono distanti, e’ difficile che Renzi possa accettare di restare ancora ai margini. Il sindaco rottamatore e’ certamente il favorito del Congresso e teme solo che la partita si giochi sul balletto dell’antiberlusconismo. Terreno minato, soprattutto per il governo.
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