L’Italia è stato ed e’ ancora un grande Paese, ma sarebbe bene che nel futuro prossimo le sue classi dirigenti trovassero il modo di armonizzare la loro specifica visione politica legata a schemi ormai obsoleti, muovendosi insieme in senso più consapevole delle nuove sfide e quindi più attento all’ innovazione, per esempio riconsiderando e attualizzando i tre pilastri tradizionali della sua economia, l’agricoltura, il turismo, la cultura classica.
La politica di questi ultimi decenni non e’ riuscita a orientare gli interventi governativi verso la conservazione e la valorizzazione delle nostre eccellenze, del patrimonio artistico più grande e importante del mondo, della nostra tradizione culturale, del nostro mare e delle nostre bellezze paesaggistiche. Che dire poi della inutilità degli enti creati proprio a protezione e difesa dei nostri beni culturali, assediati dal vandalismo e dagli speculatori?
Non so quanti turisti in visita in Italia sono stati indirizzati dalle agenzie alla Reggia di Caserta, un monumento architettonico che tutto il mondo ci invidia, e che oggi si trova abbandonato all’incuria più desolante; e non so quanti italiani ne conoscono l’ubicazione e lo splendore. Io ci sono stato di recente, e mi sono vergognato, si’, sottolineo vergognato, come italiano e ancor di più come cittadino campano, della totale inadeguatezza delle istituzioni nazionali e territoriali che sembrano ignorare il valore inestimabile di una tale opera di progettazione e costruzione, lasciandola alla merce’ di visitatori incivili e privi di rispetto e sensibilita’, cosi’ come di venditori ambulanti abusivi che stravolgono la bellezza dei luoghi "nidificando" all’interno delle struttura.
E non è solo la Reggia di Caserta ad essere violentata, lo stesso destino subiscono Pompei, Paestum e tutti gli altri siti storici del CentroSud dell’Italia. Non si possono attribuire tutte le colpe ai dipendenti o ai direttori che devono fare salti mortali per far quadrare i conti delle gestione ordinaria, la responsabilita’ del degrado e’ prima di tutto della politica, della mancata razionalizzazione delle risorse, dei tagli scomposti che il patrimonio culturale ha subito in questi anni. Lo Stato ha di fatto messo in vendita terreni demaniali , ma possiamo immaginare chi parteciperà a queste aste e a quale uso destinera’ le aree dismesse. Tante le ricette per reperire risorse e tornare a crescere, ma forse manca anche ai tecnici che concepiscono teorie economiche astratte la conoscenza reale delle vere priorita’ da valorizzare nel Paese.
Il mio parere, che potra’ essere considerato da molti di stampo troppo conservatore, e’ che bisogna ritornare alla terra: e cito senza timore di fraintendimenti ideologici la riforma agraria di Mussolini, per il quale la terra poteva garantire al popolo ricchezza e sostentamento. Le ultime leggi in materia risalgono al periodo del Governo Fascista, produssero un grande rilancio dell’economia e soprattutto diedero opportunità di lavoro e di reddito, spostando manovalanza e contribuendo a migliorare le condizioni dei ceti più poveri. "Tanti nemici tanto onore", e "Spezzeremo le reni alla Grecia" furono purtroppo follie successive. Noi dobbiamo riprendere il buono da dove l’abbiamo lasciato: fino agli anni ’70 l’Italia era ancora un’economia che si sosteneva sull’agricoltura, poi sono arrivate le grandi multinazionali, il capitalismo e l’industrializzazione, Europa e l’euro, fino alla globalizzazione che ha distrutto l’identità dei popoli. Si dice che la qualità della vita oggi sia migliore, dipende dai punti di vista, non credo che avere tre o quattro cellulari o la macchina a sedici anni sia una conquista meravigliosa, anche perche’ i giovani di oggi ottengono queste cose prima ancora di desiderarle, in quell’immenso circo del consumismo sfrenato che la societa’ avvalora.
E non è vero che il lavoro non c’e’, e ‘ vero piuttosto che molti giovani preferiscono comodi lavori di ufficio, o aspirano a scalare la vetta della presenza in tivvu’ che garantisce l’effimero successo della visibilita’ e dell’immagine abilmente costruita. Nelle molte aziende sia del Nord che del Sud, dove lavorano e si integrano stranieri volenterosi, spesso i nostri giovani rifiutano qualsiasi offerta, preferendo andare all’estero anche svolgendo le stesse mansioni. In Australia molti sono i giovani Italiani che fanno questo, e mi domando perché qui si’ e non in Italia; forse perche’ sono diverse le condizioni di lavoro e di salario? Eppure lo Stato Italiano garantisce il lavoro come diritto costituzionale e non specifica che sia un determinato "posto" di lavoro, quanto una onesta dignitosa e retribuita attivita’ di inserimento sociale che produca vantaggi individuali e collettivi.
Reinventarsi un’ economia di crescita potrebbe essere la soluzione del problema della disoccupazione: per questo dico che la terra non ha mai fatto morire di fame a nessuno, che noi in Australia siamo costretti a buttar via le nostre arance e a importare pomodori dalla Cina, mentre in Italia ci sono ettari di terreni abbandonati che mettono anche tristezza.
Dobbiamo puntare su questo, se vogliamo ricominciare, creando aziende a partecipazione statale che diano ai giovani l’opportunità di fare impresa e soprattutto garantendo la qualità del prodotto italiano sulle tavole internazionali. Quando si parla di Made in Italy, o di Eatitaly, si parla della nostra terra, del nostro olio, del nostro vino, delle tradizioni del passato da recuperare per il presente e il futuro dei nostri figli. Ritorniamo alla terra, e la terra ci regalera’ frutti in abbondanza.
Riguardo il turismo in Italia, e per fortuna siamo ancora nei primi posti mondiali come meta preferita, dobbiamo stare attenti alla forte concorrenza di Paesi pure meno attrattivi del nostro, ma più convenienti e organizzati. I russi e i cinesi hanno capito l’importanza dell’informazione e dell’accoglienza nel settore e ci hanno messo le mani, innovando e migliorando; noi abbiamo un sistema che non ha ne’ capo ne’ coda, e necessita di una riforma strutturale seria, non come quella che ha tentato di fare la Brambilla, senza peraltro riuscirci. Il turismo vuol dire servizi, ristorazione professionale, e per fortuna i nostri alberghi e ristoranti in questi campi sono l’eccellenza nel mondo, ma anche costi di gestione. Un direttore d’albergo o un titolare di un ristorante, se vuole sopravvivere, oggi deve affidarsi a personale straniero in cerca di fortuna in Italia, perche’ le leggi in materia di lavoro nel settore turistico non garantiscono certamente il personale italiano, vedi l’ultima Legge in materia di apprendistato. Cosa bisogna fare per essere competitivi? A mio avviso, in primis, integrare la scuola alberghiera al mondo del lavoro, rivedendo l’attuale legge apprendistato: gli istituti alberghieri devono prevedere come parte del programma scolastico il collegamento con le strutture ricettive, non solo per una forma di pratica del lavoro ma anche per garantire attraverso l’esperienza sul campo la preparazione di personale serio e qualificato. Poi vanno fatte delle modifiche di carattere economico per attrarre turismo, e certo la tassa di soggiorno pur di modesta entita’ non convince, a meno che la regione o il comune offra servizi ulteriori al turista (wi-fi nelle città?). L’IVA va rivista al ribasso e le imposte regionali e comunali anche, i prezzi devono essere regolamentati in base alla categoria dell’albergo e non alla citta’. Che differenza c’e’ tra un 4 stelle a Milano e a Roma, o a Taormina? Roma è più importante di Taormina, o Amalfi e’ meglio di Rimini?
Dobbiamo poi una volta per sempre chiudere la vicenda delle spiagge demaniali: non si può più accettare che uno stabilimento balneare paghi un retta di poco più di 5000 euro mentre guadagna fior di milioni all’anno, dichiarando solo una piccolissima parte. E nemmeno che tutti gli stabilimenti balneari italiani siano sempre gestiti dalle solite società: va fatta una riforma seria, anche andando contro le lobby politiche.
Il governo attuale purtroppo non ha saputo o non ha voluto ridisegnare settori e ruoli, forse sono troppi gli interventi che la congiuntura sfavorevole richiede ed e’ difficile far rientrare tutto in un anno di governo. Voglio ricordare solo un episodio che forse rende l’idea. BuonItalia è un ente creato e voluto dal ministero delle politiche agricole: sono passati cinque ministri, tutti hanno fatto un timido tentativo di chiudere questo carrozzone, ma non ci sono riusciti; da circa sei mesi è stato messo in liquidazione ma chissà perché i dipendenti, che peraltro non hanno colpe, si recano ancora in ufficio pur non sapendo cosa fare.
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