La sentenza di appello bis che ha condannato a 16 anni Alberto Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi, fatto avvenuto sette anni fa, a mio parere rappresenta in tutte le sue lacune la politica italiana, la mentalità italiana, l’inconcludenza italiana, il rimedio italiano.
A parte la lunga serie di errori degli inquirenti, delle omissioni, degli inquinamenti delle prove, non sono certo qui a prendere la posizione dell’accusa né della difesa, ma per contestare una giustizia italica sempre più traballante, precaria, pericolosa.
In Italia per lo stesso reato un giorno sei innocente e l’altro sei colpevole, per un giudice sei innocente e per l’altro sei colpevole, spesso di fronte agli stessi elementi probatori.
I 16 anni sono il risultato delle riduzioni della pena; partendo da 30 anni, se ho compreso bene, se ne sottraggono 8 perché non è stata considerata l’aggravante della crudeltà e 8 anni perché il rito è abbreviato.
A questo punto, l’uomo della strada che cosa capisce? Una povera ragazza massacrata con chissà quale oggetto e lasciata in una pozza di sangue e nemmeno soccorsa… ma secondo la giuria non c’è l’aggravante. Che caratteristiche avrebbe dovuto avere questo crimine per considerare l’aggravante della crudeltà? Dovevano amputarle gli arti? Che cosa significa aggravante?
E poi il rito abbreviato. Non voglio nemmeno sapere il significato tecnico di rito abbreviato, ma era il 13 agosto del 2007, secondo l’opinione pubblica la brevità cosa sta a significare? Sette anni di processi e poi manca un altro grado di giudizio è brevità?
Insomma io, e non solo io, ma anche alcuni giornalisti che ho sentito ieri su emittenti nazionali, ho l’impressione che siamo di fronte ad una condanna che fa paura per la sua inaffidabilità.
Lo stesso discorso vale per il caso Yara-Bossetti, il caso Franzoni e molti altri. Se un assassino ha compiuto un crimine di questa gravità, deve prendere l’ergastolo e se, invece, non ci sono prove schiaccianti, l’imputato deve rimanere libero; questa è la giustizia come la intendo io.
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